LA PIZZA
Ma tu vulive 'a pizza,
'a pizza,'a pizza...
cu 'a pummarola 'ncoppa
cu 'a pummarola 'ncoppa...,
Ma tu vulive 'a pizza,
'a pizza, 'a pizza,
cu 'a pummarola 'ncoppa
'a pizza e niente cchiù!...
Chi non riconosce in questa strofa la celebre canzone paradossalmente nata a Milano, scritta nel 1966 da Testa, Nisa e Martelli e portata al successo nel quattordicesimo Festival di Napoli dagli indimenticabili Aurelio Fierro e Giorgio Gaber. Chi, ancora, non riconosce nella pizza una delle fondamentali essenze del popolo napoletano. Come alimento, la pizza, volendo gradire un poco di storia, si lega subito alle prime antichissime civiltà tanto che alcuni storici suppongono che fosse già presente nella cucina etrusca. Nato come piatto povero composto da ingredienti semplici e genuini come la farina, l'acqua, l'olio, il lievito ed il sale, la pizza come la conosciamo oggi nasce intorno al 1600 traendo spunto dalla fantasia meridionale capace di rendere più gustoso l'impasto con l'aggiunta dapprima di aglio e strutto e poi di cacio e basilico, lo stesso da cui derivò il soprannome di pizza alla "Mastu Nicola". Ancora più avanti nel tempo, contando sulla collaborazione dei pescatori, la pizza cominciò ad essere arricchita dai "cecinielli", ovvero la minutaglia di pesci che i poveri lavoratori del mare avevano a disposizione. Intanto gli anni passano e nonostante il pomodoro fosse stato scoperto insieme all'America circa due secoli prima, soltanto tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, comincia a diventare il partner ideale della celebre specialità sancendo di fatto l'era della pizza moderna. Esportata in america grazie agli emigranti napoletani che si attrezzavano per produrla e venderla persino sui piroscafi durante la traversata atlantica, la pizza grazie al pizzaiolo Raffaele Esposito un giorno si legò alla mozzarella. Unendo il latticino al pomodoro ed al basilico, formando un ideale tricolore, il pizzaiolo che lavorava nel locale "Pietro e basta" sulla salita di Sant'Anna a Chiaia dedicò la sua invenzione alla regina Margherita sposa di Sua Maestà Umberto Primo re d'Italia che gradì così tanto la nuova varietà di pizza al punto da consegnarla per sempre alla storia con il suo nome di battesimo. Senza dimenticare che pure Sua Maestà Maria Carolina di Borbone, cara ai napoletani amanti della storia del Regno di Napoli e poi delle due Sicilie, ben più della bionda sovrana torinese, era ghiotta di pizze al punto da farsi sistemare un forno a legna in casa ed affidarlo ad un pizzaiolo personale, passiamo ora alla pizza vista dai letterati poeti, scrittori e musicisti. Della pizza, ad esempio, si trovano tracce nell'opera del Basile "Lu cunto de li cunti" ancora, ad occuparsi della pizza fu il padre dei Tre Moschettieri, Alessandro Dumas, nel suo diario di viaggio il "Corricolo" dove parla dei tipi di pizza più comuni, nella prima metà del XIX secolo come quella all'olio, al lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro ed ai pesciolini (i cecenielli). Continuando nella carrellata letteraria sulla pizza, la stessa si segnala pure nella celebre opera "Usi e costumi di Napoli" di De Boucard, che per il suo lavoro si avvalse della collaborazione di Emanuele Rocco. Pensando poi alle canzoni, la pizza nell'ambito poetico musicale detiene un vero primato tanto che, nei secoli sono stati molteplici i brani musicali ad essa dedicati. Tra questi correndo tra gli anni alla rinfusa, "'A canzone d''a pizza" di Carofalo ed E.A.Mario del 1947, "'A pizza" di Testa-Martelli del 1966, "'A pizza c''a pummarola" di Pazzaglia e Modugno del 1957, "'A pizza c''o segreto" di E.A. Mario, "'A pizzaiola" di Casalini e Bonafede del 1957 ed ancora, "'A pizzeria e don Saveratore" di Di Giacomo e Valente del 1902, "Cardulella" di Furnò e Olivieri del 1957, "'O pizzaiolo" di Fiordalisi e Mazzone del 1908, "'O pizzaiolo nuovo" di Capurro e Gambardella e "Sophia di Caputo" e Framel del 1957. Per giungere alla nascita delle prime pizzerie intese come locali di ristorazione, in quanto fino a quell'epoca la pizza era a totale appannaggio dei venditori ambulanti, dobbiamo aspettare il 1830, anno in cui a Port'Alba vide la luce la prima pizzeria napoletana proprio di lato all'Arco che dà su Via Costantinopoli. Diventate presto meta di scrittori, studiosi, letterati, artisti e politici, le pizzerie si diffusero in tutta la città legandosi tra l'Ottocento ed il Novecento, ad un'assidua clientela ben animata da personaggi illustri come Gabriele D'Annunzio, Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Ferdinando Russo e Benedetto Croce. Guadagnando una crescente popolarità a livello globale ed elevata nel tempo a vera e propria attrazione turistica per la città di Napoli, la pizza divenuta anche oggetto di studi e contese tra le varie associazioni di categorie sorte nel suo nome, oggi più che mai, sembra identificarsi in un vivo motivo di orgoglio per una terra capace di trasformare in leggenda anche le sue specialità gastronomiche. Tra i puristi dell'olio e pomodoro ed i più moderni fantasisti, tra i pizzaioli storici e le giovani leve, il percorso della pizza, oggi come ieri, s'incrocia con le più antiche tradizioni popolari riportando miracolosamente alla memoria, fra fragranze e sapori, quei personaggi, quei luoghi e quelle bontà che hanno fatto di Napoli, la capitale di uno dei Regni più potenti d'Europa.
Tratto da "Partenope in pizzeria"
di Giuseppe Giorgio (Edizioni FI)